Capitolo 1
“Potreste smetterla? Non riesco a leggere se voi due continuate ad amoreggiare qui di fianco a me!” Haley alzò i suoi grandi occhi blu su di me, mentre Landon, sdraiato su di lei, soffocò una risata. “Scusa Joey” mi disse “Ma cosa posso farci se la mia ragazza è incredibilmente attraente?”. Si chinò appena per stamparle un bacio sulle labbra. Io alzai gli occhi al cielo, chiusi il libro e mi alzai sbuffando “Eddai J.” mi supplicò Haley. “Trovo un altro posto” dissi prendendo la borsa da terra “Voi mi date la nausea”. Forse lo dissi con un tono un po’ duro perché la mia migliore amica mi guardò accigliata e questa volta anche gli incredibili occhi verdi di Landon si posarono interrogativi su di me. “Ci vediamo dopo” dissi voltandomi. Ero pazza di loro e lei era l’unica migliore amica che avessi mai avuto, il che era tutto dire visto che io avevo passato gran parte dei miei vent’anni in California, mentre lei c’era da appena un anno. Eravamo in uno dei parchi di Santa Monica. L’erba era tagliata perfettamente, c’erano delle grandi querce, panchine, altalene, scivoli, giostre per arrampicarsi. C’erano bambini che correvano e urlavano, i loro genitori apprensivi gli correvano dietro ed io scossi la testa divertita. Scelsi la quercia vicino l’altalena e mi misi a sedere lì, pronta per tornare al mio libro senza che nessuno mi disturbasse, quando notai una bambina dai capelli dorati avvicinarsi all’altalena. Avrà avuto due anni ed era troppo piccola per riuscire a salirci da sola e infatti un uomo sui quarant’anni , brizzolato, con qualche ruga sotto gli occhi stanchi le si avvicinò con un sorriso carico d’amore, la mise a sedere e iniziò a spingerla dolcemente. Sentivo la bambina ridere come una matta mentre si reggeva forte alle catene. Mi resi conto solo in quel momento che stavo stringendo forte il libro che tenevo fra le mani e gli angoli degli occhi mi pungevano. Trassi un respiro profondo per calmarmi e spostai lo sguardo sull’erba. Mi stavo comportando in maniera ridicola, era inutile prendersela tanto, non si poteva tornare indietro nel tempo e mio padre era sempre troppo impegnato con il lavoro per potermi portare al parco. Lavorava per il mio futuro. Questa era la frase che mi ripeteva ogni volta che da bambina gli chiedevo di fare qualcosa con me. “Un penny per i tuoi pensieri” disse una voce fin troppo vicina a me. Girai la faccia verso quella voce, che conoscevo bene, e mi resi conto che a quella distanza non c’era neanche bisogno che mi sporgessi per baciarlo. Mi ritrovai a guardare quelle labbra perfette e invitanti e avvampai al pensiero, alzai lo sguardo e vidi che mi stava guardando con un sopracciglio alzato “Sei tornata sulla terra?” mi chiese arretrando un po’. “Sei tutta rossa, a che stavi pensando?” alzai gli occhi al cielo e sbuffando risposi “Non a te” mentii e lui sorrise facendo brillare i denti perfetti che si ritrovava. Era bello, e intendo davvero. Zigomi alti, naso sottile e delicato, labbra sottili ornati da un cerchietto. Portava la barba, non folta, quel tanto da sembrare appena sveglio e disordinato. I capelli scuri erano un po’ più lunghi della barba ed erano cresciuti tanto nell’ultimo periodo siccome di solito li portava rasati, non che tutto questo avesse importanza visto che li nascondeva sempre sotto al capello. La cosa che di lui più m'imbarazzava erano gli occhi. Non erano blu come quelli di Hales, che sembravano confondersi con l’oceano, no, i suoi rasentavano l’azzurro del cielo, tanto che a volte sembravano trasparenti, altre invece sembravano più scuri, come un cielo in tempesta e le folte ciglia scure non facevano altro che metterli in risalto. “Cosa leggi?” chiese riportandomi alla realtà. “Un libro” risposi ridendo e ottenendo così una spinta. Il suo tocco su di me era incredibile, la pelle sembrava prendere fuoco ed io sapevo che non mi sarei mai abituata a quel tocco né a ciò che risvegliava in me. Mi spinse con la mano destra indugiando per quella che mi sembrò un’eternità. Sulle sue dita il diminutivo del nome della sorellina, Emy, scritto a caratteri gotici e una piccola stella sul dito senza lettere. Emily aveva perso la vita troppo presto, ad appena sei anni, la notte di Halloween, a causa di un pirata della strada che girava ancora a piede libero e che noi conoscevamo. Le sue braccia erano coperte da tatuaggi, che il suo migliore amico Landon, gli faceva. Erano l’uno il tatuatore dell’altro nel loro negozio di tattoo e piercing aperto da un anno e sapevo che continuavano sotto la maglietta a mezzemaniche blu notte. “Allora?” sbuffò capendo che non avevo sentito neanche mezza parola e mi rubò il libro dalle mani. Si sedette vicino a me e le nostre ginocchia si toccarono. Iniziò a sfogliare il libro con la fronte aggrottata e gli sorrisi. “Non sarà un’altra storia d’amore strappalacrime?” chiese cercando di sembrare serio e io feci di si con la testa “Dovresti smetterla di leggere questi romanzi rosa.” Scrollai le spalle “Parla di una ragazza che ha perso i genitori e che viene affidata a degli zii che sono delle persone orribili, ma lei ha una splendida migliore amica e presto s’innamora e tutte le cose orribili che è costretta a sopportare sembrano meno difficili da affrontare e il peso che porta dentro sembra farsi più leggero, ci sono un po’ di drammi, ma alla fine tutto va nel verso giusto” mi ripresi il libro attenta a non sfiorargli le mani “Immagino sia così” dissi e lui mi guardò accigliato “Nell’amore dico” continuò a guardarmi come se stessi parlando un’altra lingua. “Il peso, io credo che nell’amore diventi più facile, non devi portare il carico pesante da sola, in due è più semplice”. Nascose gli occhi sotto la visiera del suo cappello da baseball blu e bianco “A volte però l’amore può diventare il peso più grande” disse e fu il mio turno di guardarlo come se mi stesse parlando in aramaico “Non credi nell’amore? Gli chiesi e lui scrollò le spalle. “Credo nell’amore dei miei genitori e in quello di Lan e Hales, ma quanto a me, non so se sono il tipo da innamorarsi, non credo di essere bravo ad affrontare i drammi”. Alzò lo sguardo su di me e per un attimo i nostri occhi s’incrociarono. Il suo sembrava uno sguardo triste, mi venne voglia di sfiorargli la mano, di chiedergli cosa lo turbasse tanto. “Credo” disse lui spostando lo sguardo dal mio e prima che potessi chiedergli qualcosa il mio cellulare iniziò a squillare sotto le note della colonna sonora dell’esorcista. Tom scoppiò in una fragorosa risata mentre io mi affrettai a rispondere. “Hai visto che ore sono?” chiese una voce infuriata, guardai l’orologio tempestato di Swarovski al mio polso, erano quasi le cinque. “Scusa mamma, ho perso la cognizione del tempo, arrivo subito”. Silenzio. “Beh, muoviti” disse alla fine. Chiuse la telefonata ed io guardai il mio amico “Ci sei anche tu a quella stupida asta questa sera?” gli chiesi mentre lui era impegnato a trafficare con il telefono “Si” rispose sbuffando “Mamma mi ha incastrato, chissà perché Landon invece è riuscito a cavarsela” disse alzandosi, mi alzai anch’io, ma forse troppo velocemente perché una volta in piedi il mondo intorno a me iniziò a girare e le gambe divennero molli. Sentii una presa forte cingermi in vita e sbattei contro un muro di muscoli tesi. “J. stai bene?”. Ero una testa più bassa di lui quindi dovetti alzare lo sguardo per incontrare il suo carico di preoccupazione. “Solo un capogiro” risposi sforzandomi di sorridere. Lui continuò a guardarmi preoccupato e a stringermi come se temesse che lasciandomi andare sarei finita in mille pezzi, forse aveva ragione, ma cercai di farmi forza e mi allontanai dalla sua stretta forte sentendo il mio corpo andare in fiamme. Lo stomacò iniziò a brontolare e lui alzò un sopracciglio “Non hai mangiato oggi?” evitai di guardarlo mentre risposi “Certo, a stasera”. Mi allontanai senza aspettare la sua risposta, corsi alla mia Mercedes e tornai a casa dei miei. Ripensai alla domanda di Tom, avevo mangiato, certo, a colazione, solo una mela. Era così da qualche mese ormai. Non ero grassa e di questo ne ero sicura, anche perché Haley non faceva che ripeterlo, dicendo di invidiare le curve che lei non aveva, nonostante fosse bellissima con quella cascata di capelli mogano, gli occhi bellissimi, un fisico che mia madre avrebbe elogiato ed i muscoli datale dalla danza, mentre per mia madre la quarantadue era intollerabile . Secondo lei ogni abito attillato non mi cadeva bene, mi faceva sembrare il sedere grasso e i fianchi larghi. Era una vergogna visto che le figlie delle sue amiche erano una trentotto. Mio padre purtroppo non diceva mai niente perché tanto non gli importava e quando diceva qualcosa dava sempre ragione a lei, così mi ero prefissata di perdere peso, ma a modo mio, così da non darle la soddisfazione di portarmi da un dietologo. Mi limitavo a mangiare una mela a colazione, un’altra a pranzo evitando di andare nella mensa del college con la mia migliore amica, ma ero felice del fatto che finalmente eravamo in pausa estiva e quindi non ero più costretta a mentirle, mentre a cena mangiavo un’insalata e un po’ di carne e la mattina presto andavo a fare jogging. I risultati si vedevano già, ero scesa a una taglia quaranta, quelle che solitamente venivano chiamate maniglie d’amore erano sparite, il ventre era piatto, anche perché non c’era niente nella pancia e mia madre, che aveva notato la differenza, anche se per me una taglia in meno non era una cosa così eclatante, ne era felice. “C’è da lavorare ancora un po’, ma ti sta bene” disse studiando il modo in cui il tubino nero mi fasciava i fianchi e il sedere, scendendo fino a metà coscia. “Sei contenta di non avere più quel sedere enorme?” chiese girandomi intorno e io alzai gli occhi al cielo “Sono scesa solo di una taglia mamma” mi zittì con una mano “Ma hai anche rassodato andando a correre e anche questo vuol dire”. Guardai il mio riflesso allo specchio. I capelli formavano delle piccole onde che mi ricadevano sulle spalle, dorati come quelli della bambina al parco. Ero solita a cambiare colore, oppure a colorarne qualche ciocca, ma anche in quel caso ero stanca di sentire mia madre lamentarsi, così ero tornata al mio colore naturale facendomi schiarire un po’ le punte. Sapeva essere davvero convincente con quel suo sguardo carico di disgusto ed io non ero brava come mio fratello a sopportarlo, ma lui se n’era andato quindi ero sola contro un muro e non valeva la pena lottare, rischiavi solo di farti male. I miei occhi erano grandi come quelli di Haley, ma a differenza sua i miei erano marroni, ma molto, molto scuri. L’eyeliner ne delineava i contorni e il nero li faceva sembrare più piccoli. Sul naso avevo un piccolo brillantino, opera di una mia cara amica, Terry che era la body piercer del negozio di Tom e Lan. La mia piccola bocca a cuore era colorata di un rosso opaco. Era vero che il vestito mi cadeva meglio, ma mi resi conto con dispiacere che la mia quarta di reggiseno era un po’ calata. Le decolleté rosse mi fecero racimolare qualche centimetro. Mia madre apparve dietro di me con una collana di rubini e me la mise. Guardai il suo riflesso vicino al mio. Era alta e magrissima, i capelli biondi erano legati in uno chignon elegante. Sembrava stanca dietro gli occhiali quadrati e piccoli che le davano un’aria ancora più severa. La collana di perle che papà le aveva regalato per il suo compleanno le metteva in risalto il collo lungo e stretto. Aveva un fisico asciutto, tipico di una ballerina di danza classica, e lei lo era stata fino a quando non si sposò, poi si limitò a insegnare ed a diventare direttrice di diverse scuole di danza. La danza classica le aveva anche donato un’eleganza estrema, nonostante la rigidità e non mancava mai di farmi notare che non avevo ereditato nemmeno quella. Presi la pochette rossa e scendemmo di sotto, dove mio padre ci stava aspettando in fondo alle scale. La casa dei miei era qualche villa dopo quella di Haley e io andavo spesso da lei, ma lei non era mai stata lì, non perché mi vergognassi di lei o cose del genere, semplicemente tenevo la mia vita lontano da quel posto. A differenza di casa sua che era in perfetto stile moderno, la loro invece rispecchiava perfettamente lo stile antico e vittoriano. I grossi e massicci mobili antichi erano dappertutto, le tende di velluto rosse coprivano le finestre e non lasciavano entrare la luce, i tappeti erano immacolati ed enormi, anche se raccoglievano polvere facendomi starnutire. Papà era quello che di solito veniva considerato un omone. Era alto due metri e massiccio (secondo mia madre avevo preso da lui la tendenza ad ingrassare), portava i baffi ed i capelli brizzolati erano tirati indietro. Indossava uno smoking nero ed elegante. Alzò lo sguardo su di noi e i suoi occhi grigi vagarono da mia madre a me per poi posarsi di nuovo sul suo telefono. “Pronte?” domandò. La cameriera ci porse i soprabiti e aprì la porta “Certo caro” rispose mia madre e ci dirigemmo verso la limousine che ci stava aspettando fuori. Arrivammo al grosso hotel a cinque stelle che ospitava l’asta. I miei andarono dritti nella sala conferenze, dove si sarebbe tenuta l’asta, io invece andai al bar dove il barman era impegnato ad asciugare con cura dei calici. Era un signore con i capelli brizzolati, le rughe intorno agli occhi, una divisa elegante e un po’ di pancetta. Alzò lo sguardo su di me “Champagne?” domandò, alzai le spalle “Va bene”. Mi passò un calice con dentro del liquido chiaro, lo presi e mi diressi sul terrazzo sperando di non incontrare nessuno, ovviamente sbagliavo. “Oh mio Dio Joey Harper” mi voltai verso la voce squillante alle mie spalle. Ashley Morgan e Maddison Algerini mi stavano guardando con dei finti sorrisi sulle facce. La prima era mora, la seconda rossa, una liscia, l’altra riccia, Ashley con gli occhi scuri, Maddison chiare, entrambe con un fisico da urlo nei loro vestiti succinti, entrambe insopportabili. “Hai perso peso” mi fece notare Ashley “Stai molto meglio così” le fece eco l’altra, alzai gli occhi al cielo “Anche voi state bene”. Si guardarono sorridendo “Grazie cara” continuò la mora “Io e Mad sfileremo la settimana prossima sai? Durante la serata di beneficenza che sta organizzando tua madre”. Schiusi appena la bocca per la sorpresa e loro si guardarono compiaciute “Oh, non lo sapevi?” mi chiese con finta preoccupazione Maddison, un’altra cosa che riguardava entrambe, erano finte dentro e fuori. “Certo” dissi cercando di sembrare il più convincente possibile. “Beh magari sfilerai anche tu la prossima volta, abbiamo saputo che sei una quaranta adesso, ancora un po’ d’impegno” continuò squadrandomi “Sfilare non fa per me, non voglio certo togliervi il divertimento” sbottai e le sorpassai dirigendomi verso l’atrio dell’hotel. Non le sopportavo, pensavo di essermele levate di torno dopo il liceo, ma sbagliavo, nel circolo dei ricchi giravano sempre le stesse persone. Le nostre mamme erano amiche da sempre e anche loro due, ma io anche in quel caso ero la pecora nera della situazione. Avevamo studiato tutte e tre nella più prestigiosa scuola privata della zona e mi avevano dato il tormento per tutto il tempo visto che loro erano le meravigliose cheerleader mentre io ero quella che occupava la panchina lontana da tutti munita di cuffie e libro, c’era stato un periodo in cui avevo cercato di essere loro amica, ma non facevano altro che ricordarmi le frivolezze da cui ero circondata, quindi avevo preferito starmene in disparte, trasparente e in attesa di andare al college per levarmele di torno, ovviamente sbagliavo. Beh al college le intravedevo di tanto in tanto, ma andava bene così, il problema era che a queste stupide feste non mancavano mai. Arrivata nell’atrio notai che si era popolato di ragazzi e ragazze, tutti figli e nipoti dei ricchi impegnati con l’asta. Qualcuno mi salutò e alzai la mano per ricambiare mentre mi dirigevo a grandi passi verso la toilette, poi qualcuno mi afferrò per un polso e lo riconobbi subito visto che la pelle sembrò prendere fuoco all’istante. Tom era davanti a me con una camicia bianca con le maniche lunghe, la cravatta sottile, nera, dei jeans scuri e le Vans ai piedi e l’immancabile cappello nero e bianco con qualche borchia. In pratica fra tutto quel lusso e quell’eleganza spiccava fuori lui e mi venne da sorridere, ma arrossii pensando a quanto stava bene vestito in quel modo, a come la camicia gli cadeva perfetta sul busto e a come le maniche si adattavano alle braccia muscolose. “Non mi sentivi mentre ti chiamavo?” domandò. Guardai la sua mano ancora stretta intorno al mio polso e lui mi lasciò andare “No” dissi “Scusa, non ti ho sentito” mi guardò accigliato “Stai bene?” chiese e io scrollai le spalle “Oggi me lo stai chiedendo continuamente” risposi e lo guardai mentre spostò lo sguardo da me alla porta dietro di me “È solo che sembri stanca e distratta e non è da te”. In quel momento si aprirono le porte della sala conferenze e parte dell’alta società di Santa Monica uscì ridendo e soddisfatta. Qualcuno disse che era il momento di sedersi per il ricevimento. “Andiamo” gli dissi e lo trascinai nel ristorante dell’hotel. Non mangiai quasi nulla, a parte l’insalata e il salmone e mia madre annuì dall’altro lato del tavolo. Non dovetti sforzarmi molto a parlare visto che erano tutti degli adulti impegnati a discutere del loro grossi affari. “Dove vai al college cara?” mi domandò ad un certo punto una signora anziana vicino a me. Era la direttrice di una nota scuola di danza di L.A. “Al Santa Monica College, signora Thompson” risposi accennando un sorriso “Pensavo andassi a Yale come tuo padre, oppure alla Juliard come tua madre” rispose. Stavo per dirle che io avevo deciso di rimanere in zona quando mia madre parlò. “Si trasferirà a Yale a settembre”. Io che ero intenta a bere dell’acqua quasi mi strozzai e mia madre mi guardò con aria severa. “Cosa?” domandai portandomi una mano al petto “Tesoro ne abbiamo già parlato, questi giovani, dimenticano tutto non è vero signora Thompson?” non sentii la risposta, ma io ero certa del fatto che non avevamo mai parlato del mio trasferimento, era il suo modo per farmi capire che quello non era né il posto né il momento per affrontare il discorso. Chiesi scusa e mi alzai dal tavolo. Andai dritta in bagno, chiusi a chiave la porta e scoppiai a piangere. Cosa diavolo significava che a settembre mi sarei trasferita? Avevamo avuto quella discussione un anno e mezzo prima quando mi ero rifiutata categoricamente di lasciare la mia città e adesso a metà del secondo anno volevano mandarmi via? Perché? Avevo il massimo dei voti e amavo la facoltà di letteratura quindi qual era il problema? Volevo laurearmi il prima possibile per andarmene di casa e non essere più legata a loro, ma non volevo lasciare la città e nemmeno i miei amici che inconsapevolmente mi aiutavano a tenere duro. Era tutto surreale, doveva esserci un errore. Sussultai quando sentii bussare piano alla porta. “Occupato” dissi cercando di usare un tono fermo ma sembrò più un lamento “Sono io” disse una voce dall’altro lato della porta. “Tom cosa ci fai nel bagno delle signore?” chiesi esterrefatta “Se ti beccano qui finisci nei guai” continuai “Allora fammi entrare no?” replicò. Mi asciugai le lacrime con un po’ di carta igienica e aprii la porta, ma prima che potessi dirgli di andare via lui s’intrufolò e chiuse la porta alle sue spalle. Non era esattamente la scena più romantica del mondo con me seduta sul coperchio del water mentre con le mie ginocchia toccavo le sue. Tenni la testa bassa cercando di nascondere i miei occhi arrossati per le lacrime e probabilmente il trucco era sbavato, ma ben presto lui si abbassò facendo in modo che i nostri visi si ritrovassero alla stessa altezza “Cosa ci fai qui?” gli chiesi “Ho sentito di Yale” rispose lui e sentii gli occhi riempirsi di lacrime, tenni lo sguardo fisso sulle mie ginocchia, i pugni stretti lungo i fianchi mentre cercavo di non crollare davanti a lui. Poi Tom fece qualcosa di inaspettato, iniziò ad accarezzarmi le guance, col tocco più gentile che io avessi mai sentito, come se temesse di rompermi, come se fossi fatta di cristallo. “Ne parlerete a casa, sistemerete le cose” disse in tono gentile ed io scossi la testa “Probabilmente hanno già fatto il trasferimento” sentii il labbro inferiore iniziare a tremare e lo morsi nel tentativo di farlo smettere, poi lui fece la seconda cosa inaspettata quella sera, si avvicinò così tanto che i nostri visi si ritrovarono pericolosamente vicini e avvertii il suo respiro sfiorarmi le labbra. “Troveremo una soluzione”. Quelle parole mi attraversarono colpendomi dritte al cuore, lo guardai negli occhi mentre una lacrima riuscì a sfuggirmi scivolando lungo il viso e lui la raccolse con il pollice. È per questo, dissi a me stessa, è per questo che sono innamorata di lui, da sempre. Da bambini eravamo vicini di casa. Tom e mio fratello divennero grandi amici mentre io ero solo la sorellina che non volevano mai fra i piedi. Poi quando io avevo undici anni e mio fratello cinque in più, fummo costretti a partire per quattro anni perché a mia madre era stato chiesto di dirigere un collegio in Svizzera. Mi presi una cotta per lui quando tornammo a casa, pronta per iniziare le superiori. Una mattina scesi al piano di sotto per fare colazione con la divisa della mia scuola e sentii mio fratello scherzare con qualcuno, non ne riconobbi subito la voce, anche perché l’ultima volta che lo avevo visto aveva una voce diversa, più infantile, quella che avevo sentito quel giorno era bassa e forte, una volta in cucina si voltò verso di me e mi ritrovai davanti un giovane uomo con gli occhi più belli che avessi mai visto e che riconobbi subito, anche perché i miei genitori lo avevano sempre chiamato “Begli occhi”. Lui mi guardò intensamente, squadrandomi. “Sei cresciuta” mi disse “Capita” ricordo di aver risposto e lui sorrise. Poi Eric s’intromise, non ricordo cosa disse perché Tom continuava a guardarmi ed io non riuscivo nemmeno a muovere un passo, poi arrivò mia madre che mi fece notare che stavo facendo tardi e lui distolse lo sguardo, da quel giorno e per i cinque anni successivi, nei fine settimana, che era il momento in cui mio fratello tornava dal college, me lo ritrovai sempre a casa. Di conseguenza, per quanto mi sforzassi per farmi passare quella cotta divenne quasi impossibile fra gli incontri in città e a casa, per non parlare degli incontri imbarazzanti che erano capitati, come il giorno il cui avevo deciso di usare la vasca a idromassaggio del bagno che di solito usavano gli ospiti. Quando uscii per andare in camera mia me lo ritrovai davanti, mentre io ero avvolta in un asciugamano striminzito e divenni paonazza mentre lui balbettò qualcosa. Oppure la volta in cui cercavo di fare pratica sui tacchi per prepararmi per il ballo scolastico e mentre scendevo le scale Tom e Eric passarono lì davanti, così mi sporsi per guardarlo meglio e finii col cadere e precipitare giù per non so quanti scalini slogandomi una caviglia e finendo con il dover subire una ramanzina di mia madre sul fatto che era il mio peso a creare tutti quei problemi. Si certo, come no… Sta di fatto che ero persa di lui, mentre per lui ero semplicemente la sorellina del suo amico. Certo nell’ultimo anno ci eravamo avvicinati molto visto che i nostri migliori amici si erano messi insieme, ma all’inizio fu veramente strano, specialmente dopo che mio fratello se n’era andato.
“Ti sei persa di nuovo” sussultai alla sua voce “Scusa” dissi arrossendo e lo vidi sorridere “Che ne dici se ce ne andiamo?” mi chiese, ma per quanto l’idea fosse allettante scossi la testa .“Devo tornare e parlare con loro, non riuscirei nemmeno a dormire altrimenti” lui annuì e si alzò in piedi. “Si sistemerà tutto” mi disse, ma io sapevo che non era così, lo osservai mentre si girò per aprire la porta, guardai il modo il cui la camicia gli cadeva sulla schiena, non si era nemmeno preso la briga d’infilarla nei jeans che erano calati lungo i fianchi, si voltò verso di me e alzai lo sguardo su di lui. “E comunque, per la cronaca, sarebbero più che liete di trovarmi nel bagno delle signore” sorrise e non potei non farlo anch’io, uscimmo dal bagno e mi disse che lui sarebbe andato via così io cercai i miei che si stavano infilando i soprabiti.
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